Mongolia 2011

                                                 

Mongolia

 

 

Dall’11 giugno al 5 agosto  – Km 25.000 in 56 giorni

 

PREMESSA

Come oramai di consueto, anche questo diario è stato scritto da mia moglie Anna.

Partecipanti:

–     Gianfranco, Ciccio, Luciano, Angelo, Giuseppe, Rosaria, Enrico, Anna

n. 4 equipaggi dall’Italia a poco dopo il confine mongolo (2 Toyota 105, Toyota 78, Nissan Patrol)

n. 3 equipaggi in Mongolia fino alla capitale Ulaan Batar  (2 Toyota 105, Toyota 78)

n. 2 equipaggi da Ulaan Batar al confine russo (Toyota 105, Toyota 78)

Soli al lago Baikal e rientro (Toyota 78)

Spese pre partenza 770 €:

Visti 420 €

Scorte cibo e varie 350 €

 

Spese viaggio 3980 €:

Carburante 2620 € (Russia 0,65 € litro – Mongolia 1 / 1,20 € litro) litri 3400 media 7.35 Km/l

Alloggio (Campeggi e Hotel) 460 €

Vitto (Ristoranti e Supermercati) 400 €

Varie (Spese doganali, Permessi, Ingresso Parchi e Riserve, Multe, Acquisti vari, ecc.) 500 €

 

Tagliandi Toyota 2850 €

Alla partenza 1500 € (olio motore, filtri, gomme, ricambi vari, controllo generale)

Toyota Ulaan Batar 350 € (olio, filtri, guarnizione differenziale anteriore, controllo generale)

Al rientro 900 €  (olio motore, filtri, olio cambio, supporto compressore, lavaggio ecc.)

 

Totale 7500 €

 

Itinerario: Abbiamo attraversato i seguenti paesi SLOVENIA, UNGHERIA, UCRAINA, RUSSIA sia nel percorso d’andata che in quello del ritorno, con una deviazione (al ritorno) per raggiungere il Lago Baikal

 

11/12 giugno (1309 km.)

 

SLOVENIA


Paese piacevole da attraversare. Il paesaggio che si osserva percorrendo l’autostrada A1 per Ljubljana e Maribor è dapprima collinare e poi pianeggiante con tante coltivazioni punteggiate qua e la dalle case dei contadini dai colori vivaci . Acquistiamo vignetta a 15 € e passiamo il confine senza rendercene conto a Lendava. L’autostrada lo costeggia dalla parte ungherese fino a Letenye poi punta verso il lago Balaton. Usciamo a Hollad e troviamo da dormire in un grazioso campeggio nel villaggio di Keszthely, estremità sud-ovest del lago.

 

UNGHERIA


Si decide di percorrere la costa settentrionale del lago più panoramica. Visitiamo la chiesa abbaziale a Thiany su di una penisola, incontriamo anche un signore italiano che vive qui in una casa molto carina!!

 

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Acquistiamo vignetta autostradale ad un distributore e con la M7 raggiungiamo Budapest che attraversiamo rapidamente (poco traffico forse complice il fatto che è domenica). Notiamo bei palazzi e belle piazze. Successivamente si percorre tutta la M3 e la E573 per Zahony, posto di frontiera con l’ Ucraina. Sono le 19 ora locale. Pratiche burocratiche rapidissime sia per lasciare l’Ungheria sia per entrare in Ucraina. Alle 20 siamo fuori. Bisogna portare avanti di un’ora le lancette dell’orologio. Troviamo da dormire vicino alla ferrovia in un luogo cintato e perciò sicuro.

 

13/14 giugno (1177 km.)

 

UCRAINA (+1 rispetto all’Italia)


Trasferimento piuttosto monotono ad eccezione dell’attraversamento dei Carpazi Ucraini, montagne ricoperte da fitta vegetazione. Le strade sono fiancheggiate da alberi alti e verdissimi, a tratti è possibile vedere estese coltivazioni di girasoli, mais e frumento. Il colore predominante è il verde perché tutte le piantine sono ancora basse, l’unica macchia di colore la creano i papaveri. Percorriamo la M06 per Uzhhorod e Mukacheve, poi la M12 per Ternopil e Vinnytsia. La polizia è sempre in agguato per darti una multa sia lungo le strade principali sia nelle cittadine e nei paesi. Attenzione soprattutto ai limiti di velocità. A Ternopil veniamo fermati perché inavvertitamente abbiamo imboccato una strada con divieto di circolazione. Il poliziotto dapprima pretende 25 € a macchina poi “si accontenta“ di 40 € in tutto. A Nemyriv sulla M12 cambiamo 100 €. Si prosegue sempre sulla M12 per Uman, Kirovohrad, Kremenchuk (lungo ponte sul fiume Dnepr), Poltava.

A Vinnytsia abbiamo dormito in un bel motel (50 $) e la cena c’è costata circa 10 € a coppia (Insalata e petto di pollo fritto). A Poltava invece ci siamo sistemati in un parcheggio Tir.

Cielo prevalentemente coperto, con pioggia a tratti.

 

15/20 giugno (3986 km.)

 

RUSSIA (+4 rispetto all’Italia)


Con la M03 arriviamo a Kharkiv. Evitiamo di entrare in città e ci dirigiamo verso la frontiera (Kozacha Lopan). Alle 11 siamo in dogana e alle 13 siamo fuori, dopo aver compilato 3 moduli di cui uno subito all’ingresso e uno in duplice copia solo per il conducente. Avevamo un po’ di apprensione per il passaggio di questa frontiera ma la burocrazia si è notevolmente snellita, i doganieri sono  gentili e i controlli praticamente inesistenti. Bisogna solo prestare attenzione a non fare correzioni quando si compilano i moduli altrimenti si corre il rischio di doverli rifare. Piuttosto è preferibile lasciare in bianco se si hanno dei dubbi. In Russia bisogna spostare avanti di un’ora l’orologio, quindi le 13 diventano le 14. A Belgorod ci si ferma in banca per cambiare gli euro. P185 per Star.oskol e poi A144 per Voronez. Bel campo immerso nel verde con vista laghetto.

 

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Sempre con la A144 che ad un certo punto diventa a doppia corsia per ogni senso di marcia e permette di aumentare un poco la velocità raggiungiamo Saratov intorno alle 16,30. Purtroppo a quell’ora troviamo un traffico intenso e riusciamo a lasciare la città e imbroccare la giusta direzione per Vol’sk intorno alle 18. Facciamo campo sulla riva del Volga affollata di pescatori e famiglie che fanno picnic.  Per fortuna ad una certo punto restiamo soli.

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L’indomani con qualche difficoltà riusciamo a prendere la strada che costeggia il fiume in direzione di Samara, in realtà il fiume si vede solo in pochissimi tratti, per il resto colline verdeggianti. A Samara si attraversa il Volga e si arriva a Togliattigrad. Si prosegue sulla M5 per Ufa. Trasferimento monotono. Si dorme in un boschetto di betulle. Proseguendo sulla M5 direzione Chelyabinsk a un certo punto dobbiamo superare le estreme pendici meridionali degli Urali e il paesaggio si vivacizza. Subito dopo Chelyabinsk , che attraversiamo in fretta per via della circonvallazione, ci fermiamo in un motel sulla M51 direzione Kurgan. Si prosegue per Omsk e poi deviamo sulla nuova strada per Ishim che permette di non entrare in Kazakhistan. Nuovo tentativo di appioppare una multa ai nostri amici. Minacciando di telefonare al comando sono fatti ripartire senza pagare nulla. Il paesaggio è sempre molto monotono: estese praterie e qua e la boschetti per lo più di betulle. Verso le 20 (ma c’è ancora molta luce) decidiamo di fermarci in un boschetto, ma siamo letteralmente assaliti dai tafani . Andiamo via e alle 21 non ci rimane che fermarci dietro un capannone di cemento di un distributore ad una trentina di km da Omsk. Arrivati a Omsk verso le 9 del giorno successivo riusciamo, anche grazie alle indicazioni stradali (ho imparato a memoria l’alfabeto cirillico su suggerimento di amici ), ad imboccare la M51 per Novosibirsk. Il paesaggio è sempre monotono: steppa e boschetti. Mano mano che andiamo verso est notiamo che i supermercati si fanno più rari e quelli che ci sono hanno poche cose, in genere pane frutta e pomodori. Arriviamo in città verso le 18, traffico intenso in uscita per andare a prendere la M52 per Barnaul. Passiamo sulla diga che ha trasformato in lago il fiume Ob. Riusciamo a lasciare la città verso le 19.30 e facciamo campo subito dopo in una zona coltivata circondata da alberi ma purtroppo infestata dagli insetti!

Tempo incerto, a volte leggera pioggerellina.

 

21/24 giugno (1641 km.)

 

Finalmente si parte con il tempo bello! Abbiamo deciso prima di entrare in Mongolia di fare due deviazioni una per il lago di Teletskoe e l’altra per Tyungur, nel cuore della Repubblica degli Altai. A Byisk lasciamo perciò la M52 e imbocchiamo una strada alquanto deteriorata che costeggia a tratti un fiumiciattolo, mentre il paesaggio cambia notevolmente e si fa montano.

 Ad un certo punto il cielo diventa plumbeo e comincia anche a grandinare!!! Troviamo riparo sotto gli alberi ai lati della strada e dobbiamo aspettare che il tempo migliori. In ogni modo a sera raggiungiamo Artybash sulla punta del lago e prendiamo una camera in albergo. Si tratta di una zona turistica frequentata dai russi, infatti lungo tutta la riva ci sono hotel, camere in affitto e anche graziosi cottage di legno ma ad onor del vero mi sembra di poter dire che paesaggisticamente parlando non ho visto niente di veramente eclatante: si tratta del solito lago alpino con le montagne incombenti e dalle acque limpide come ce ne sono tanti anche qui da noi. Ritornati sulla M52, percorrendo la medesima strada dell’andata, ci fermiamo a Gorno-Altaisk per chiedere il permesso di transito necessario per poter attraversare questa regione. L’ufficio del Servizio Federale dell’Immigrazione è chiuso per la sosta pranzo, riapre però alle 14. L’impiegata molto gentile chiama l’agenzia che si occupa della pratica e in breve tempo arriva una signorina che parla perfettamente l’inglese e ci fa avere i permessi nel giro di un’oretta avendo ciascuno di noi presentato fotocopia del passaporto + fotocopia del visto russo + tagliando di immigrazione. Si prosegue sulla M52: gli Altai ci appaiono come montagne verdeggianti ricoperte d’alberi. Comincia a piovere e la temperatura esterna si aggira sugli 8°. Dopo il passo di Seminskiy (1500 m.) la strada comincia a scendere e arrivati al bivio per Ust Kan ci fermiamo per la notte in una specie di campeggio con gher (siamo ormai vicini al confine) e bungalows. Ci sistemiamo su di un bel prato e ci facciamo preparare una gustosa cena a base di carne alla griglia, insalata, formaggio nazionale e…..cremina acida. Il giorno successivo Gianfranco che deve sistemare la bagagliera insieme a Luciano tornano a Gorno-Altaisk alla ricerca di un fabbro, noi con Giuseppe e Rosaria decidiamo di fare il giro programmato per vedere gli Altai dal versante russo e arrivare fino al villaggetto di Tyungur dove con ogni probabilità avremmo potuto ammirare la cima più alta, il monte Belukha di 4500 m. Purtroppo così non è stato perché dopo Ust Khan, più o meno a metà strada da Ust Koksa, dobbiamo fermarci a un posto di blocco e scopriamo che non abbiamo il necessario permesso di transito (modulo scaricabile tramite internet). A malincuore dobbiamo tornare indietro. A Ust Khan chiediamo informazioni al posto di polizia. Ci dicono che il permesso doveva essere richiesto a Gorno-Altaisk. Peccato! Sarà per la prossima volta. Torniamo sulla M52 e dormiamo in un campeggio piuttosto spartano sulla riva di un fiume. Il giorno dopo proseguiamo per Aktash (abbiamo appuntamento in frontiera con gli altri due equipaggi per il 25 giugno). Arrivati in paese prendiamo la deviazione per Ust Ulagan allo scopo di vedere un canyon roccioso chiamato la Porta Rossa. Niente di che. Piove. Sulla via del ritorno in maniera del tutto fortuita incrociamo gli altri. Si va a dormire ad Aktash nel parcheggio di un Hotel con uso doccia e bagno.

Tempo prevalentemente brutto: piove e fa freddo!

 

MONGOLIA

 

A questo punto è necessaria una premessa. Una volta che si entra in territorio mongolo non esistono più strade asfaltate tranne brevi tratti prima e dopo i capoluoghi di provincia e nell’area circostante la capitale. Inoltre spariscono anche le indicazioni stradali che in Russia comunque un po’ di aiuto lo fornivano avendo come già precisato  imparato l’alfabeto cirillico. Di conseguenza per potersi orientare, imbroccare le piste giuste e trovare ciò che si cerca necessitano i seguenti supporti: GPS con Word map – Ozi Explorer con cartine adeguatamente calibrate, WP di persone che già ci sono state, cartine geografiche almeno 1:1200000 o meglio il più dettagliate possibili e una buona guida turistica (noi avevamo la Bradt), infine …. in caso di dubbio ostinato e come ultima chance bisogna chiedere ai locali che non sono affatto ignoranti e si fanno in quattro per aiutarti.

 

25 giugno (274 km.)

 

Si parte per la frontiera mongola. Percorriamo il tratto più spettacolare della M52, il cosiddetto CHUYSKY TRAKT: cime innevate e steppa! Il tempo oggi è straordinariamente bello: cielo azzurro e nuvolette bianche qua e la. A Kosk Agach Enrico preleva 5000R in parte utilizzando la carta di credito e in parte euro. Infatti, è possibile usare euro o anche dollari e il bancomat rende il controvalore in rubli. Facciamo rifornimento dato che il gasolio in Mongolia costa circa il doppio che in Russia. Avvicinandoci a Tashanta all’orizzonte si vedono montagne a semicerchio, mentre ai lati della strada si estende la steppa. Alle 11,30 arriviamo alla frontiera russa e alle 13 ne siamo fuori, nessuna formalità particolare, doganieri cortesi. Subito dopo comincia lo sterrato che in un’oretta circa ci porta alla frontiera mongola. Paghiamo 50R per l’ingresso dell’auto e cambiamo 100 $ (120.000 Tugrit) in un gabbiotto prima della Dogana. Successivamente bisogna passare 3 uffici con pagamento di 100R a testa. Controllo auto e da ultimo pagamento di 41 $ per l’assicurazione. Alle 16 tutto finito. Il paesaggio è cambiato: colline ondulate di un verde molto tenue, niente vegetazione, qualche gher. Arrivati a Tsagaannuur prendiamo con una certa difficoltà la pista che va in direzione nord-est verso Ulaangom e la regione dei laghi. Dinanzi ai nostri occhi montagne pelate, piccoli laghi azzurri, mandrie di mucche, caprette e i primi yak. La pista sale e si addentra in un canyon, poi sfocia in una bella pianura. Puntiamo ad una piccola catena di montagne ancora baciate dal sole per fare campo. Altitudine 1550 m.

 

26 giugno (171 km.)

 

Arrivati ad un villaggetto ci infogniamo in un terreno fangoso. Proviamo con i nostri verricelli ma niente da fare! Deve intervenire un camion a 6 ruote motrici per tirarci fuori. DSC_0120.jpg

 

Riusciamo a ripartire dopo un paio d’ore e a prendere una pista che va a sud verso il lago Achit, dato che da informazioni assunte in loco sembra che la pista principale per Ulaangom sia interrotta perché allagata. Il paesaggio è veramente bello: sullo sfondo montagne innevate, ai lati della strada la steppa di colore verde e infine l’acqua del lago prima di colore celeste e poi blu.

 

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Sosta pranzo sulla riva, poi arrivati alla punta prendiamo la direzione nord, nord-est allo scopo di immetterci sulla pista principale in prossimità del lago Uureg. Dopo aver superato un passo a 2553 m vediamo il lago in lontananza circondato da montagne alte 3000 m. Facciamo campo sulle sue rive. Nella notte piove.

 

27 giugno (253 km.)

 

Tempo nuvoloso e fa frescolino. La pista che porta a Ulaangom attraversa un bel paesaggio: colline ondulate di colore verde, l’immancabile steppa vivacizzata dalla presenza di grandi mandrie di caprette, cavalli e pecore. Purtroppo fa freddo 8° e minaccia pure di piovere! Dopo aver superato un piccolo passo si scende nell’ampia vallata. Riusciamo a vedere i primi cammelli battriani (a due gobbe) molto più tozzi e pelosi dei loro cugini sahariani e anche di colore più scuro.

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Poco prima di arrivare a Ulaangom (capoluogo dell’Aimag di Uvs) incomincia la strada asfaltata e si paga pedaggio. Sosta in banca e al supermercato. Prendiamo la pista per Tes allo scopo di costeggiare il lago di Uvs e incontrare le prime dune di sabbia in Mongolia (le Altan Els). In realtà ci avviciniamo al lago e costeggiamo la sponda sud est, ma poi ci rendiamo conto di andare nella direzione sbagliata e siccome pur avendo chiesto informazioni non riusciamo ad intenderci desistiamo e puntiamo per Zuungov. Niente dune! Sennonché dopo aver attraversato il paese vogliamo fare un ultimo tentativo e prendiamo la pista che va a nord. Ci rendiamo conto che non si tratta di dune di sabbia, come erroneamente riportato dalla nostra guida, o per meglio dire la sabbia è completamente ricoperta dalla vegetazione! Restiamo un pochino delusi, ma ci consoliamo con un bel campo vicino a un laghetto nei pressi del paesino. Fa abbastanza caldo nonostante l’altimetro segni 888 m.

 

28 giugno (352 km.)

 

La pista per Moron corre sul fondovalle ricoperto dalla steppa. A destra una catena di montagne abbastanza importante e a sinistra il cordone di dune delle Altan Els che comunque sono sempre di colore verde. Tempo nuvoloso. Arrivati al paesino di Tes breve sosta nel piccolo market locale, quindi si prosegue in direzione est. La pista attraversa un paesaggio di colline ondulate verdeggianti: nessuna presenza umana, nessun animale.

 

 

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Verso le 17 ci fermiamo in un villaggetto per chiedere informazioni. Non riusciamo a capire se fino a qui abbiamo percorso la pista principale o piste secondarie ma appare più probabile la seconda ipotesi. In ogni modo mancano 40 km. circa a Tsetserleg che raggiungiamo intorno alle 18 dopo aver attraversato un ponte piuttosto sconnesso.

 

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Campo in una pineta subito dopo il paesino. Altitudine 2000 m. e fa freddo!!!

 

29 giugno (332 km.) (+5 rispetto l’Italia)

 

Si prosegue sulla pista principale per Moron. Incontriamo una coppia di ragazzi temerari in camper e scopriamo che esistono due piste, una invernale e una estiva. 60 km. prima di Moron (capoluogo dell’Aimag di Khovsgol) la pista assume l’aspetto di una strada principale sia per quanto riguarda la larghezza della carreggiata sia per quanto riguarda il fondo. Si costeggia il fiume Delgelmoron, il paesaggio è di tipo montano. Moron appare in lontananza come un paesone con tetti colorati ai piedi di una catena di montagne.

 

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Sosta dal meccanico per controllare una piccola perdita d’olio di una Toyota 105, nulla di grave. Si riparte per il lago di Khosvgol dopo aver fatto rifornimento di carburante e portato avanti di un’ora le lancette dell’orologio. Il paesaggio continua ad essere di tipo montano: colline verdi, qualche guado,

 

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gher qua e la e così pure mandrie di mucche e yak e greggi di pecore e caprette. L’altitudine si mantiene sui 2000 m. A un certo punto lasciamo la pista principale deviando verso ovest. Si torna indietro e in base alle indicazioni degli abitanti di una gher riusciamo a prendere una pista secondaria non battuta e impegnativa in direzione est che dovrebbe permetterci di sbucare sulla principale a minore distanza dal lago. Verso le 20 decidiamo di fare campo. Domani è un altro giorno! Altitudine 1750 m. Nella notte piove.

 

30 giugno (257 km.)

 

Riusciamo a sbucare sulla pista principale dopo aver percorso solo pochi km. dal campo. Sono in corso importanti lavori per la costruzione di una specie di superstrada che collegherà Moron con Khatgal sulla punta sud del lago. Si paga pedaggio per l’entrata nel Parco di Khosvol (i soliti 3000 T a persona)

 

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che fu istituito per proteggere sia il bacino lacustre sia l’ambiente circostante. Esso include centinaia di km. quadrati di montagne, boschi, pascoli e prati oltre ai due villaggi di Khatgal e Khank rispettivamente sulla punta sud e nord del lago che è il più profondo di tutta la Mongolia con picchi di 262 m.. Misura 134 km. di lunghezza per una larghezza massima di 39 km. e in esso confluiscono circa 90 fiumi ma uno solo nasce da qui e unendosi a un altro fiume il Selenge va a gettarsi nel Lago Baikal, nella Siberia meridionale.

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Da Khatgal che ci appare grazioso con le sue casette di legno, imbocchiamo una pista sulla riva occidentale disseminata di strutture turistiche quali gher, chalet di legno e guesthouse : quasi subito un cancello chiuso ci sbarra la strada. Evidentemente non era quella giusta. Lo scopo sarebbe stato raggiungere delle sorgenti, purtroppo abbiamo dovuto rinunciare in quanto, dopo essere riusciti finalmente a trovare la pista giusta con notevoli scorci panoramici sul lago, essa diventava troppo accidentata e addirittura pericolosa per proseguire. Si decide di tornare a Moron dove prendiamo una stanza nell’ Hotel 50°/100°

 

1 luglio (273 km.)

 

Dopo una buona colazione facciamo carburante e acquistiamo al supermercato 30 L. d’acqua in bidoni da 5 L. che travasiamo nel serbatoio, abbiamo infatti constatato che non è facile fare acqua né in Mongolia né in Russia. Puntiamo a sud verso il Grande Lago Bianco (Terkhiin Tsagaan Nuur). Il paesaggio è di tipo montano e dobbiamo superare diversi passi a più di 2000 m, per fortuna il tempo è buono! A Jargalant dobbiamo passare su di un ponte pericolante.

 

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Questo paesino ha una particolarità che poi vedremo essere comune a molti altri paesini della Mongolia: oltre ai tetti colorati le casette hanno tutte una staccionata per proteggerle dal vento e anche forse per problemi di privacy. Dopo aver superato una catena montuosa (passo 2360 m), ad un bivio sbagliamo la direzione per il lago. Si torna indietro e dopo un primo tentativo di fare campo, fallito per la presenza di numerosi insetti, finalmente riusciamo ad accamparci su di un terreno non perfettamente pianeggiante ma con vista sul lago piccolo (che è adiacente al grande lago bianco) vicino al punto in cui la pista secondaria si innesta su quella principale in direzione di Tariat. Siamo nell’Aimag di Arkhangai.

 

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2 luglio (307 km.)

 

La pista costeggia la riva nord del lago Tsagaan. Panorama molto bello in quanto si tratta di una distesa d’acqua circondata da vulcani estinti. Purtroppo la presenza in alcuni tratti di fango crea qualche difficoltà, infatti tiriamo fuori con il verricello un pulmino locale.

 

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Sul lato est invece la pista si allontana dall’acqua e si attraversa una zona di rocce laviche nere, data anche la vicinanza del vulcano Khorgo (2965 m).

 

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Prima di arrivare a Tariat paghiamo l’ingresso (per noi uscita) alla Riserva di Khorgo e il pedaggio d’entrata in città. Si prosegue sul pistone in direzione sud-est per Tsetserleg, il capoluogo della provincia di Arkhangai. In alcuni tratti troviamo asfalto, in altri accanto al pistone principale si sono formate piste parallele e ognuno può percorrere quella che più gli aggrada. Sosta pranzo vicino alla deviazione per la Taikhar Chuluu (masso granitico con significato anche sacro)

 

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e successivo arrivo in paese che ci appare con i tetti colorati e le staccionate per il vento. Non senza qualche difficoltà riusciamo ad imboccare la pista per le sorgenti di Tsenkher. Il paesaggio è da alpi svizzere: ruscello e colline ricoperte da conifere. Anche questa pista è infangata e dobbiamo affrontare passeggini alquanto difficoltosi. Grazie alle indicazioni del conducente di una uaz riusciamo dopo aver guadato un ruscello a prendere la pista giusta che ci permette di arrivare alle sorgenti intorno alle 18,30. Ci sistemiamo nel parking di un Gher Camp turistico con l’uso delle docce, dei servizi, e ovviamente delle acque termali. Alcuni di noi si immergono nelle vasche esterne, una per gli uomini e una per le donne, di acqua calda, io preferisco farmi una bella doccia tonificante. Ceniamo al ristorante (piatto unico a base di carne e verdure) ed Enrico riesce anche a farsi fare un bel massaggio! Che vuoi di più dalla vita!?

 

3 luglio (236 km.)

 

Ritornati sulla strada principale prendiamo la deviazione per Hotont e Kharkhorin. Si entra nell’Aimag di Ovorkhangai . Strada asfaltata e paesaggio brutto. Visitiamo il Tempio di Erdene Zuu, il più antico monastero buddista della Mongolia e uno dei pochi ad essere sopravvissuto alle distruzioni delle fondazioni religiose degli anni trenta. I colossali muri in mattoni grigi furono costruiti con pietre e mattoni provenienti dalle rovine della vicina Kharakhorum, l’antica capitale dell’impero mongolo costruita da un figlio di Gengis Khan, perno della vita politica e amministrativa del paese nonché punto di sosta per i nomadi migranti e per le carovane dei mercanti Quando la capitale fu spostata a Pechino, Kharakhorum perse d’importanza e inoltre fu rasa al suolo dai soldati Manciù.

 

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Il Tempio nel suo periodo di maggiore splendore contava al suo interno circa 100 templi e 1000 monaci residenti che vivevano nelle gher vicine. Attualmente rimangono 5 templi, alcuni piccoli edifici usati per la preghiera e alcune tombe. Il luogo merita certamente una visita soprattutto se si vuole avere un’idea seppure in tono minore di quello che sono i templi buddisti e la vita religiosa al loro interno. Sosta pranzo nei pressi di una tartaruga di pietra (che probabilmente segnava i confini della città di Kharakhom insieme ad altre tre ormai scomparse) su di una collinetta con vista sul tempio e il paese di Kharkhorin.

 

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Dopo aver fatto rifornimento, prendiamo la pista per l’Orkhon Valley (patrimonio UNESCO) che costeggia il fiume omonimo. Si entra nella riserva alle 16,30 e si paga pedaggio. La valle è abbastanza larga, sul fondo il fiume e ai lati le montagne. Ogni tanto nell’acqua si vedono gruppi di cavallini che si rinfrescano e si dissetano. Paesaggio bucolico. Alle 18 circa arriviamo al parking della cascata. Posteggiamo le macchine e proseguiamo a piedi. La cascata è carina e fa un salto di circa 20 m.

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Decidiamo di fare campo lì vicino a ridosso di una pineta.

 

4 luglio (339 km.)

 

Stamattina piove! Ritornati sui nostri passi fino al villaggio di Bat-Olzii, prendiamo la pista per Arvaikheer (direzione sud-est), capoluogo della provincia di Ovorkhangai, che lambisce le propaggini orientali della catena dei Khangai attraversando foreste di conifere. Dopo aver superato un passo appare dinanzi a noi uno spettacolo abbastanza terrificante: lavori di sbancamento della valle per la presenza di giacimenti auriferi. Si tratta di una ferita lunga km. e km. e mano mano che ci si avvicina aumenta l’orrore (parlo per me naturalmente): un dispiego inimmaginabile di macchinari e di uomini , un frastuono incredibile la dove prima c’era solo natura incontaminata. Non vedo l’ora di lasciare questa zona, anche se ci è voluto parecchio tempo perché tutto tornasse alla normalità . A mezzogiorno siamo a Uyanaga. Breve sosta in un piccolo market (ormai si trovano solo mele e pomodorini).  

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A Targat poco prima del capoluogo un poliziotto in motocicletta ci ferma e controlla i passaporti, l’unica volta in quasi un mese trascorso in Mongolia. Si prende la pista per Bayangol (direz. sud-est) Il pesaggio cambia totalmente: steppa ora verde, ora gialla. Pista ghiaiosa.

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Altitudine 1500 m. Lasciamo il paesino e arriviamo a Sajchan-Ovoo. Da qui avendo trascritto male il WP del nostro amico sbagliamo la pista per ONGIIN MONASTRY. Riusciamo comunque ad arrivare al sito verso sera. Facciamo campo in mezzo a collinette nere nei pressi di un accampamento di gher turistico. Siamo nell’Aimag di Dundgobi o Medio Gobi

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5 luglio (264 km.)

 

Si è rotto il supporto del compressore. Enrico lo sistema come può. Visitiamo il sito. Non è un posto che ti rimane impresso. Nel piccolo nuovo monastero due monaci bambini suonano e cantano pro turisti.

 

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Secondo me le strutture turistiche e l’affluenza di pubblico non sono giustificate dall’importanza e dalla bellezza del luogo. Si prosegue per Bayanzag ossia le Rupi fiammeggianti così chiamate perché all’ora del tramonto assumono una colorazione rossa e sembra che stiano per incendiarsi. Il luogo ha anche un’importanza storica perché un famoso paleontologo americano nel 1922 vi trovò sedimenti fossili di ossa di dinosauro nonché le primissime uova di dinosauro documentate, scoperte che fecero il giro del mondo.  Mano mano che procediamo verso sud (siamo ormai nell’Omnogobi o Gobi meridionale) il paesaggio si fa piatto e di tipo desertico. Ad un certo punto dobbiamo attraversare un cordone di dune rossastre ricoperte di rocce nere.

 

 

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Intanto a causa del vento si scatena una vera e propria tempesta di sabbia e arriviamo a Bayanzag che la visibilità è molto ridotta. Dopo aver bevuto un chai in un baretto a forma di tartaruga non ci resta, sebbene a malincuore, che ripartire in direzione di Dalandzadgad, il capoluogo della provincia. Arriviamo in città alle 16. Prendiamo una camera nell’Hotel omonimo. Un’ottima cena a base di agnello e patate e prima di andare a nanna una bella doccia calda ci danno una mano a superare la forte delusione della giornata.

 

6 luglio (157 km.)

 

Dopo colazione cerchiamo un meccanico per sistemare definitivamente il supporto del compressore. Niente da fare. Cerchiamo il supermercato per comprare acqua per il serbatoio, ma hanno solo bottiglie. Compriamo pane e mele. Mi viene in mente che all’Hotel ho visto una canna e cosi ci torniamo. Riesco a farmi capire dalla signorina alla reception, peraltro molto gentile e così possiamo riempire il serbatoio. Dopo aver fatto carburante si parte per la Valle delle Aquile (Yoly Am). Abbiamo notevoli difficoltà ad imbroccare la pista giusta (direzione ovest verso le montagne). Dopo numerosi tentativi andati a vuoto, finalmente arriviamo all’ingresso della valle e della riserva del Gobi Gurvansaikhan intorno alle 15.

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Visitiamo il museo che ospita diversi animali e uccelli imbalsamati, resti di dinosauro (uova ed ossa), pelli di lupo, volpe e antilope. Compriamo una cartina del Gobi che ci sarà utile in seguito. La valle è lunga 10 km. Lasciata la macchina nel parking (ore 15,40 circa) si procede a piedi percorrendo un canyon che si restringe notevolmente e poi si allarga di nuovo con alcuni passaggi su neve perenne.

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Tra andata e ritorno saranno circa 5 km. Rientriamo al parking intorno alle 18. Facciamo campo sulla pista per Bayandalai al riparo di colline rosse. Nella notte si alza un vento fortissimo. Altitudine 1500. Fa freddo!

 

7 luglio (147 km.)

 

Arrivati in paese prendiamo la pista che va verso ovest per raggiungere le Khongorin Els, le famose “sabbie cantanti” del Gobi, e che si snoda tra due catene montuose. Ad un certo punto incontriamo delle dunette che attraversiamo ognuno per conto proprio.

 

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Usciti dal cordone ci fermiamo ad aspettare gli altri. Via radio ci comunicano che Luciano si è insabbiato, torniamo indietro e nell’affrontare una duna in senso contrario c’insabbiamo anche noi. Si sgonfia e poi si rigonfia parzialmente. Ne approfittiamo per la sosta pranzo. Si prosegue sulla pista principale, ma poi la tentazione di puntare alle dune è troppo forte e così si decide di fare campo lì in mezzo.

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Essendo ancora presto ne approfitto per salire sulla cima di una duna e godermi il panorama. Le Khongorin Els sono il più grande accumulo di sabbia del Parco Nazionale del Gobi Gurvansaikhan ma non aspettatevi panorami mozzafiato: si tratta di un cordone di dune sabbiose lungo 150  Km. e largo 6-12 km. con passaggi non troppo difficili. Chi ha visto l’Algeria o la Libia resterà un pochino deluso, tuttavia a mio giudizio è una zona che va visitata soprattutto per chi ha nostalgia di deserto e di dune.

 

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8 luglio (216 km.)

 

Prendiamo la pista per Sevrey allo scopo di andare a vedere delle incisioni rupestri. In paese ci sono le pale eoliche e penso che il progresso è arrivato fin qui! Grazie al WP di un nostro amico riusciamo a trovare alcuni dei massi incisi, niente d’eclatante comunque.

 

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Tornati sui nostri passi a un bivio prendiamo la direzione nord-ovest per effettuare un passaggio tra le dune che si rivela per nulla impegnativo e poi puntiamo verso la pianura. Non riusciamo a trovare la pista principale e così si decide di andare a Gurvantes. Giuseppe buca e allora facciamo campo a ridosso di una bella duna a barcana vicino al paesino.

 

9 luglio (167 km.)

 

Arrivati in paese facciamo carburante e si fa riparare la gomma da un gommista.

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I negozietti di generi alimentari nonostante siano le 9 sono ancora tutti chiusi. Riusciamo comunque prima di ripartire a comprare patate e mele. La nostra destinazione è Naraan Dats, una sorgente di acqua da bere di cui abbiamo il WP e che raggiungiamo intorno alle 16. Si tratta di un tubo da cui esce acqua bella fresca. Subito riempiamo il serbatoio e poi ne approfittiamo per sciacquarci viso e braccia, fare un bello shampoo e dulcis in fundo….un pediluvio.

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Si parte per l’oasi di Zulgamai. La pista corre nel letto di un fiume e il vento che soffia basso cancella in parte le tracce che stiamo seguendo. Riusciamo comunque ad arrivare (sempre grazie al WP) all’oasi e ne abbiamo una visione dall’alto: ruscello con volo di rapaci, sabbia e vegetazione, un bel colpo d’occhio finalmente!

 

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Facciamo campo 3 km. più avanti a ridosso di un boschetto di saxaul (pianta tipica del Gobi). Siamo infestati dalle zanzare e….dalle zecche!!! Consiglio vivamente di scendere fino all’oasi per averne una visione più diretta anche perché a mio giudizio è uno dei paesaggi più belli che ho visto in Mongolia.

 

10 luglio (274 km.)

 

Si prosegue per Kerman Tsav. Il paesaggio è veramente bello: dune di sabbia, vegetazione e l’immancabile ruscello. Dobbiamo affrontare anche dei passaggi impegnativi come ad esempio percorrere in su e in giù il crinale di collinette scure a mo’ di ottovolante.

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Ad un certo punto sulla nostra sinistra notiamo un cordone di dune e quello che sembra essere un canyon. Incuriositi puntiamo in quella direzione e attraversiamo anche qualche duna, ma siccome sfortunatamente il WP che stiamo seguendo è sbagliato dopo aver fatto del fuoripista ci rendiamo conto di non essere arrivati nel punto giusto e di aver perso l’occasione per ammirare un canyon fantastico!!! Necessita fare il punto della situazione e prendere delle decisioni. Noi vorremmo puntare per Altai e fare un giro nella regione delle montagne. Luciano preferirebbe tornare a Bayandalai e tentare di andare a vedere quello che resta della grande muraglia cinese dalla parte mongola. Non dobbiamo dimenticare che in questa regione siamo molto vicini al confine cinese! Si mette ai voti e si decide di lasciare il Gobi e puntare in direzione nord-ovest. Comincia il viaggio di ritorno! Si entra nell’Aimag di Bayankhongor. Quando la pista comincia a penetrare nelle montagne degli Altai il paesaggio si fa molto bello.

 

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Siamo a 2300 m. Dopo un pianoro erboso piuttosto esteso ecco apparire alla nostra sinistra il paesino di Shinejinst. Poi si scende nella pianura sottostante dall’ altro versante delle montagne e raggiungiamo verso sera Bayantsagaan. L’altitudine si mantiene sempre intorno ai 2000m. Facciamo campo in una bella valle su di un prato verde circondata dalle colline.

 

11 luglio (301 km.)

 

Ci accorgiamo di una gomma sgonfia. Speriamo di non aver bucato! Intanto usiamo il compressore.. Abbiamo difficoltà a prendere la pista per Chandmani (direzione nord-ovest). Riusciamo nell’intento grazie alle indicazioni di un motociclista con bambino che dalla sua gher ci porta fino all’imbocco della pista giusta.

 

 

 

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Ci sdebitiamo regalandogli noi un paio di occhiali e Giuseppe un pacco di pasta. Verso le 11, 30 arriviamo al villaggetto dopo aver percorso un pianoro erboso abbastanza velocemente a quota 2400. Dopo una breve sosta si riparte per Biger. Lasciamo la provincia di Bayankhongor per entrare in quella di Gobi Altai. Il paesaggio è sempre bello, la pista no perché piena di tole. Dopo aver lasciato Biger e il suo lago si entra nelle montagne, ma il divertimento dura poco, si sbuca di nuovo in un pianoro e dopo aver superato un passo a 2800 m. con le montagne ricoperte d’erba che ci regalano un bellissimo spettacolo eccoci finalmente arrivare ad Altai (capoluogo della regione). Cerchiamo un albergo decoroso e lo troviamo. Finalmente una doccia calda e un buon pasto serale! Dopo cena un giretto in paese con gli amici.

 

12 luglio (312 km.)

 

Dopo colazione solite tappe obbligate: prima di tutto dal gommista per tentare di far riparare la gomma, poi supermercato e infine distributore. Intanto il programma è cambiato: invece di restare nella zona degli Altai per visitarla meglio si decide di tornare indietro e di puntare alla zona sud est al confine con la Cina per andare a vedere un vulcano, pertanto prendiamo la direzione di Bayankhongor, il capoluogo della regione. Pistone polveroso e paesaggio monotono. Ad un certo punto sulla nostra destra vediamo un lago, il lago di Boon Tsagaan a cui siamo diretti. Quando siamo abbastanza vicini alla riva scendo dalla macchina per controllare se ci sono uccelli. Purtroppo non sono fortunata e vedo solo dei comunissimi gabbiani.

 

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L’idea di fare campo lì è subito scartata sia per la presenza immancabile di insetti sia perché si sta avvicinando una tempesta e noi siamo in pianura. Ci dirigiamo quindi verso una montagna all’orizzonte che può offrirci riparo. Enrico fa da apripista e dobbiamo guadare diverse volte e uno di questi si rivela abbastanza impegnativo per la presenza di un buco sul fondo.

 

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Vedo il muso della macchina scomparire sotto il livello dell’acqua e poi per fortuna riemergere. Dopo il paesino di Baatsagaan troviamo uno spiazzo abbastanza pianeggiante con vista montagne, in particolare una che assume una straordinaria colorazione per effetto combinato sole e nuvole. Comunque nella notte niente tempesta!

 

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13 luglio (203 km.)

 

Stamattina cielo azzurro e….gomma a terra! Si rigonfia e via. La giornata sarà trascorsa alla ricerca delle Foresta pietrificata. Non la troveremo mai. Abbiamo attraversato una catena montuosa con una cima di circa 4000 m. (mantenendo la direzione sud, sud-est) dapprima percorrendo un wadi e poi addentrandoci in una gola piuttosto stretta. Successivamente chiediamo informazione a delle donne che vivono in una gher ai piedi delle montagne. Per poter andare a prendere la pista giusta dobbiamo affrontare un percorso impegnativo in fuoripista. Quando finalmente raggiungiamo il punto del nostro wp di tronchi fossili nemmeno l’ombra! Tentiamo di farci accompagnare sul posto da una signora con bambino al seguito che Giuseppe carica sul suo mezzo. Niente da fare la signora ne approfitta per andare a visitare i parenti e poi si fa riaccompagnare a casa. Decidiamo di ritornare al wp presunto della foresta pietrificata e da lì raggiungere Bayangovi. Facciamo campo in una conca circondata da montagne. Arrivano delle persone che sono disposte il giorno dopo ad accompagnarci al sito.

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Chiedono un compenso esorbitante con la scusa che bisogna scavare…..Non accettiamo. Non ci piace essere presi in giro!

 

14 luglio (408 km.)

 

A Bayangovi non c’è il gommista. Facciamo il punto della situazione: si decide di proseguire verso est, di raggiungere le Rupi Fiammeggianti in modo da rivederle con il bel tempo e poi Dalandzadgad, quindi entrare nell’ Aimag di Dornogovi e puntare per Saynshand. Una volta raggiunta la città, capoluogo della provincia, in base ai giorni mancanti (il 19 luglio dobbiamo essere a Ulaan-Bataar perché Angelo, il fratello di Luciano, deve prendere l’aereo) si deciderà se arrivare al vulcano o tornare indietro. Stiamo per ripartire ma Giuseppe  ha un problema con un ammortizzatore. Lo smontiamo e lo rimontiamo con nuove rondelle sperando che tenga. Neanche a Bayanlig c’è un gommista. Prendiamo la pista per Bogd che almeno all’inizio è molto, molto monotona, in quanto percorre il fondovalle tra due catene montuose. Comincia anche a piovere! Poi le montagne si fanno più vicine e si passa anche in mezzo ad esse. Il paesaggio si vivacizza e il panorama si fa bello anche grazie agli effetti della luce che filtra attraverso grossi nuvoloni neri carichi di pioggia.

 

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Arriviamo a Bogd intorno alle 17, imbrocchiamo la pista che va alle Rupi e che corre parallela alle montagne ma poi ci ritroviamo su quella sbagliata che le attraversa. Grazie alle indicazioni di un motociclista riusciamo a metterci sulla giusta direzione est e poi sud est. Percorriamo un plateau piuttosto arido, mancano 50km e sono le 19. Meno male che il sole tramonta tardi! Arrivati a una zona di dunette cespugliose perdiamo la pista ma la riprendiamo grazie alle indicazioni degli abitanti di una gher. Ci catapultiamo dalla macchina in tempo per godere di uno spettacolo che resterà impresso a vita nella nostra memoria.

 

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Capisco il perché del nome dato alle rupi : quando il sole cala all’orizzonte e raggiunge un preciso punto esse sembrano incendiarsi, diventano come fiamme incandescenti. Sono felice e lo sarò ancora di più quando scendiamo nel canyon e facciamo un campo magnifico, il più bello di tutta la mongolia. Sono le 20,45. Ce l’abbiamo fatta!!!

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15 luglio (341 km.)

 

Si parte con il cielo terso e una temperatura di 28° Arrivati a Dalanzdadgad prima tappa per noi il gommista e per Giuseppe officina Toyota. Riusciamo a far riparare la gomma e mettiamo anche una camera d’aria.. Poi andiamo all’Hotel per riempire il serbatoio con la canna. Dopo aver fatto rifornimento si parte per Manlay dove arriviamo verso le 18 dopo aver percorso una pista molto, molto monotona (solo steppa e qualche mandria di animali). Pale eoliche anche qui. Giuseppe ha ancora problemi con l’ammortizzatore: sente di nuovo rumore e infatti il tappino di gomma è saltato via o si è frantumato. Facciamo campo subito dopo il paese . L’ammortizzatore viene definitivamente smontato e Giuseppe decide di raggiungere in questo modo Sainshand.

 

16 luglio (424 km.)

 

Partenza ore 6,45. Si vuole arrivare a Sainshand il più presto possibile. Luciano ha già deciso di tornare da lì a Ulaan Bataar perché timoroso di non arrivare in tempo per l’aereo. Perciò se Giuseppe riuscirà a sistemare in maniera definitiva e sicura l’ammortizzatore si potrà continuare il viaggio e tentare di raggiungere il vulcano distante ancora centinaia di km. In caso contrario tutti a Ulaan Bataar. Raggiungiamo il paesino di Mandak, grazioso. La pista è oltremodo monotona, solo steppa a cui si aggiunge anche una fastidiosissima tole!!! Quando arriviamo a Sainshand è ora di pranzo. Si cerca il meccanico. Giuseppe non si fida. Si va ad Ulaan Batar. Sono le 15. La delusione è forte. Soprattutto mi fa star male l’idea che arriveremo nella capitale addirittura in anticipo e ci toccherà stare fermi per più giorni. Mi era anche balenata l’idea di proseguire da soli. Ma giustamente parlandone con Enrico non ce la siamo sentita di abbandonare il gruppo per un solo e semplice motivo: se avessimo avuto problemi con il mezzo sarebbe stato pericoloso, sono infatti piste quelle della Mongolia e in particolare quella che dovevamo percorrere noi dove magari per giorni interi non passa nessuno. Neanche la strada che collega il capoluogo di regione con la capitale è asfaltata, inoltre il paesaggio è assai monotono: steppa, steppa, steppa…..L’unico diversivo è che costeggia la ferrovia transiberiana che attraverso la Mongolia collega la Russia con la Cina. Vediamo infatti passare diversi treni merci abbastanza lunghi e anche un treno passeggeri. Piove! Verso le 18,30 decidiamo di fare campo nei pressi di Dalanjargolan perché la pista si allontana dalla ferrovia. Ci piazziamo al riparo di collinette verdi vicino a un grande gregge. Non piove più anzi il tempo è notevolmente migliorato. Appena andiamo a dormire però si alza un vento fortissimo e comincia anche a piovere molto forte. In fretta e furia recuperiamo i nostri sacchi a pelo e ci chiudiamo in macchina. Io non riesco a prendere sonno così verso le 23,30 quando la bufera è cessata me ne torno a dormire nella mia tenda sul tetto della macchina.

 

17 luglio (354 km.)

 

Il temporale ha rinfrescato l’aria e ha reso terso il cielo. Dopo Choir comincia l’asfalto. Verso le 15 arriviamo a Ulaan Bataar, la capitale, che si estende ai piedi di una cerchia di montagne e anche un poco sulle colline circostanti, ovviamente dopo aver pagato pedaggio. La capitale mongola assomiglia ad un girone infernale: traffico caotico e indisciplinato, strade dissestate, caos ovunque. Esattamente l’opposto di tutto il resto della mongolia. Decidiamo di cercare subito l’officina della Toyota anche se è domenica in modo da renderci conto della zona in cui è ubicata. Una volta trovata la stazione ferroviaria puntiamo a sud e grazie alle indicazioni di un automobilista riusciamo finalmente a trovarla. È molto fuori mano per cui cerchiamo un albergo in zona. Ne troviamo uno decoroso che si chiama JDL ed è a gestione cinese. Sono le 18.

 

18 luglio

 

Nel pomeriggio prendiamo un taxi e andiamo al negozio del cachemire. Discreto assortimento di golfini per uomo e donna. Ci sono anche copertine e plaid. Si torna in albergo con l’autobus.

 

19 luglio

 

Noi, Giuseppe e Rosaria visitiamo il monastero di “Gandan” Cartelli all’ingresso avvisano di prestare attenzione a possibili borseggiatori. A piedi raggiungiamo la via centrale. Facciamo un salto all’emporio statale. Giuseppe si accorge di essere stato derubato di carta di credito, patente italiana, gps e soldi. Tornati in albergo dopo aver bloccato la carta i nostri amici vanno in commissariato per fare denuncia. Ci si ritrova la sera in albergo.

A seguito della disavventura capitata a Giuseppe, si decide di partire domani mattina per la frontiera che passeremo assieme poi noi punteremo al Lago Baykal mentre loro rientreranno in Italia il più presto possibile. Gli altri invece rientreranno per conto loro fermandosi presumibilmente in Crimea.

 

20 luglio (448 km.)

 

Luciano viene all’albergo per salutarci. Dopo colazione finalmente si parte!!! Ci dirigiamo verso la frontiera. Tutta strada asfaltata Alle 16 circa siamo ad Altanbulag (frontiera mongola). Alle 16,30 siamo fuori. Alle 17,40 siamo fuori anche da quella russa (Kyakhta). 60 km dopo facciamo campo.

 

21/24 luglio (1497 km.)

 

RUSSIA (LAGO BAIKAL) (+6 rispetto l’Italia)

A Irkutsk, dopo aver percorso la M55 per Ulan-Ude, dopo aver fatto l’anello che ci avrebbe dovuto far vedere il delta del Fiume Selenge che sfocia nel Baikal (in realtà riusciamo a scorgere il fiume solo in qualche tratto), dopo aver costeggiato sempre sulla M55 la riva del lago che però causa la folta vegetazione ci appare solo saltuariamente, alla fine auguriamo buon rientro ai nostri amici e noi prendiamo la P418 allo scopo di raggiungere il traghetto per l’isola di Olkhon. L’ultimo pezzo di strada non è asfaltato ed è pieno di tole. Conviene forse prendere le piste laterali. Sono in corso comunque lavori di sistemazione del fondo stradale. Arriviamo all’imbarco verso le 15, riusciamo a partire alle 17,30. Il tragitto dura 15- 20 minuti (completamente gratuito) ma sono le operazioni di imbarco e sbarco che fanno perdere parecchio tempo.

 

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Dipende anche da quante chiatte sono in sevizio in quel momento. Comunque si tratta di un’escursione che consiglio vivamente. L’isola è veramente bella, selvaggia con insenature e baie stupende.

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Le strutture sono poche, soprattutto gher e chalet di legno. La natura è ancora incontaminata: ci sono montagne, colline, praterie, spiagge e acqua…. turchese.

 

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Un’ unica pista percorre l’isola da sud- ovest a nord-est. A questo proposito a mio avviso bisogna avere la pazienza o la fortuna di incappare nel bel tempo per due importanti motivi: il primo è che con il cielo azzurro cambia notevolmente l’aspetto del paesaggio e secondo che la pista diventa praticabile. Con la pioggia infatti si forma fango argilloso e non si riesce più a controllare il mezzo: come guidare su ghiaccio!!!

 

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Sarebbe stato necessario fermarsi almeno un giorno in più ma comunque quello che ho visto mi ha ampiamente ripagato di tutto. Da segnalare anche il Nikita’s Guest House

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nel capoluogo dell’isola, una struttura gestita da un campione russo di ping pong e dalla moglie, un vero e proprio ritrovo per viaggiatori, un posto meraviglioso in cui rilassarsi e gustare una tipica cucina casalinga.

 

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Rinfrancati da questa seppure breve sosta si riparte di nuovo per Irkutsk e poi M53 per Krasnoyarsk. Ad Angarsk sul fiume Angara facciamo campo: siamo completamente soli tranne che per la presenza di un pescatore che prima di andare a casa ci regala un bel pesciozzo appena pescato.

 

25 /31 luglio (5469 km)

 

RUSSIA (+2 rispetto l’Italia)

 

M53 per Novosibirsk Paesaggio abbastanza monotono. Si tratta di estese coltivazioni di colore verde inframmezzate qua e la da macchie di fiori di colore fucsia e da boschetti di betulle. Il fondo stradale a tratti non è asfaltato e bisogna percorrere delle deviazioni che sollevano grandi polveroni soprattutto per il transito dei tir. Grazie alle ottime indicazioni stradali senza arrivare a Novosibirk lasciamo la M53 e ci immettiamo sulla M51 per Omsk ancora più monotona se possibile e poi riusciamo a prendere la E30 che attraversa una zona di laghetti ed è perciò infestata dai tafani e ha un manto stradale pessimo. Per attraversare gli Urali a causa dell’intenso traffico di Tir impieghiamo ben 3 ore, per nostra fortuna il paesaggio è diventato più bello. Dopo Chelyabinsk la M51 è diventata M5, rispetto all’andata ci sono tantissimi campi di girasole.

 

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Veniamo fermati dalla polizia perché non abbiamo i fari accesi. Chiedono 100 $ Enrico molla 300 R. A Samara abbiamo difficoltà a prendere la P228 per Saratov. Riusciamo a dormire sul fiume Volga nei pressi di un paesino prima della città. Posticino grazioso ma superaffollato: famigliole con bambini, coppie di giovani , alcuni hanno dei canotti per attraversare il fiume ( la riva opposta non è molto lontana) o per pescare. Dopo Saratov si prosegue sulla A144 per Voronez. Traffico scarso forse anche perché oggi è domenica. La polizia comunque è sempre in agguato e così veniamo fermati per eccesso di velocità, limite di 70 e noi andavamo a 140 con bella foto: multa di 1000 R.

 

1 agosto (561 km.)

 

Alle 7,30 si parte per Belgorod . Alle 10 e un quarto arriviamo a 2/3 km. dalla frontiera russa: c’è una lunga coda in entrata e non si capisce il perché. Comunque abbiamo impiegato circa tre ore per fare 180 km. Non resta che aspettare pazientemente il proprio turno. Alle 13,30 siamo fuori dalla Russia e alle 15 dall’ Ucraina. Appena usciti dalla dogana ci fermiamo per una breve sosta pranzo ed ecco che all’improvviso sbucca una macchina con tre uomini a bordo, temo il peggio ma per fortuna non è così, sono poliziotti in borghese che ci chiedono i documenti, forse cercano clandestini. Intanto bisogna portare indietro di un’ora l’orologio. Prima di sera riusciamo a collezionare ben due multe una perché abbiamo svoltato a destra senza aspettare il semaforo verde e l’altra per non so quale ragione. La tecnica è sempre la stessa: ti fanno capire che se non paghi cash e subito vai incontro a multe molto più salate, devi fare un versamento in banca ed esibire la ricevuta ecc. ecc. insomma perdita di tempo e di denaro. (al rientro abbiamo poi scoperto non essere vero)

 

2/5 agosto (2554 km.)

 

UCRAINA (+1 rispetto all’Italia) –UNGHERIA-SLOVENIA-ITALIA

 

Paesaggio sempre più o meno uguale. Campi coltivati (soprattutto mais) ma a differenza dell’andata campi di girasole che in un mese e mezzo circa sono cresciuti e boschetti di alberi con la chioma frondosa. Le betulle sono sparite! Da Kharkiv a Poltava , Kremenchuk, Kirovohrad. Dopo Uman sulla M12 per Vinnytsia, la polizia ci ferma per l’ennesima volta prechè abbiamo sorpassato un trattore. Vogliono 400 $ Enrico dice di non possedere una tale cifra e allora si “accontentano” di 75 $. 30 km. prima di Striy e precisamente nel paesino di Zhydachiv , troviamo un motel molto, molto carino, di livello europeo in posizione tranquilla e con un ottimo ristorante. Mano mano che ci si avvicina al confine con l’ Ungheria il paesaggio cambia e diventa di tipo montano: si tratta infatti dei Carpazi ucraini. Verso le 12 arriviamo in dogana e ne siamo fuori in dieci minuti poi tocca a quella ungherese. Pensavamo di fare in fretta……e invece. Quando tocca a noi la guardia di finanza ci fa togliere dalla fila e con modi molto cortesi ci fa andare da un’altra parte per un controllo più accurato. I finanzieri guardano dappertutto e ci fanno perfino aprire la tenda. Con l’aiuto di un signore che parla un po’ d’italiano ci chiedono più volte se abbiamo selvaggina. Gli rispondo che sono contro la caccia. Alle 15 esausti possiamo ripartire. Si dorme in campeggio sulla riva settentrionale del lago Balaton. Quando entriamo in Slovenia il tempo brutto che ci ha accompagnato in quasi tutto il trasferimento in Ucraina lascia il posto a un bel sole. Prima di rientrare a casa tappa per recuperare il nostro amato cagnolino Devil.

 

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